I ponti romani 

 I ponti civili e militari

Nei punti in cui le strade attraversavano i corsi d'acqua furono realizzati dei ponti che potevano avere un uso civile, sparsi in tutte le province dell'impero, o un uso militare. Questi ultimi venivano costruiti in legno dall'esercito durante le campagne di conquista, per essere poi smontati subito dopo l'uso.

A Roma, costruire ponti era ritenuta un'attività sacra. Ad essa, come pure ai riti e all'interpretazione della religione e delle tradizioni, presiedeva, infatti, il collegio sacerdotale dei pontifices (pontefici) con a capo il pontifex maximus (pontefice massimo). I Romani ritenevano che il termine stesso di pontifex derivasse da pontem facere, cioè "fare, costruire un ponte".                                                                                                    Almeno fino al II secolo a.C. anche i ponti civili, come quelli militari, furono di legno. L'economia stessa di Roma si fondava fin dall'inizio proprio sull'esistenza di un ponte, il Pons Sublicius (Ponte di legno). Edificato, secondo la tradizione, sotto il re Anco Marzio (VII secolo a.C.), si trovava a valle dell'Isola Tiberina e, oltre a consentire un comodo attraversamento del Tevere, costituiva anche una buona fonte di reddito per la città di Roma. Chiunque l'avesse voluto attraversare, infatti, avrebbe dovuto pagare un pedaggio; molti se ne servivano, soprattutto mercanti che dall'Etruria si recavano nella ricca Campania. Il ponte era interamente di legno, a incastri, cioè privo di chiodature o altri elementi metallici, in modo da poterlo smontare in caso di attacchi nemici; crollò per una terribile piena nel 60 a.C.

Modellino di un ponte romano

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